Mi chiamo Claudio Fontanini e ho giocato nell'Edera Forlì dal 1964 al 1969, insieme con mio fratello Giancarlo, nato nel 51. Giocavamo con Eris Mambelli e Collinelli, l'allenatore delle giovanili era un certo Prati e in prima squadra allenava Poni. Fra i giocatori di prima squadra mi ricordo di Ruscelli, Bonavita, Altini, Bentivogli, Tisselli, il portiere Benini. Io facevo il portiere e mio fratello giocava a centrocampo oppure da libero. Mi ricordo di una finale del campionato Giovanissimi del 1966, giocata contro la Tremartiri di San Martino sotto una pioggia battente e su un campo infame, al Federale. Vincemmo noi ai rigori e ricordo che ne parai 3 su 5, il momento più alto della mia "carriera" se vogliamo chiamarla così. Nel 1968, l'anno della definitiva retrocessione dalla Promozione, fui inserito nella rosa della prima squadra e portato in panchina come dodicesimo. Nell'ultima partita, giocata a San Piero in Bagno, con la squadra ormai retrocessa e dopo un primo tempo chiusosi con tre gol al passivo, il Mister mi disse di entrare. Ricordo che ci furono alcune proteste da parte degli anziani della squadra che consideravano l'ingresso del "bambino" fra i pali un segno di resa, invece me la cavai e riuscii a non prendere altri gol. La stagione successiva ebbi un grave incidente, poi mi trasferii a Roma per fare l'università e la mia storia con l'Edera finì. Mio fratello invece continuò a giocare per qualche anno in prima squadra. Furono anni bellissimi, ci allenavamo all'Antistadio il martedi e il giovedì e la prima squadra giocava al Morgagni. Il giovedì era divertente perchè si faceva la partitella con la prima squadra e noi ragazzi facevamo di tutto per mettere in difficoltà i "vecchi". Ricordo che uscivo da scuola (il liceo Morgagni a viale Roma) alle 13,30, mi facevo 5 o 6 km in bicicletta fino a casa, a Ca'Ossi, mangiavo qualcosa di corsa e poi di nuovo altri 5 o 6 km in bicicletta fino all'Antistadio. Finito l'allenamento, una doccia veloce e poi con i capelli ancora bagnati, e d'inverno al buio, con la nebbia e il gelo prendevo la mia bicicletta e pedalavo fino a casa dove mi aspettavano i compiti. Era un sacrificio ma la mia passione per il pallone era tanta che non mi pesava proprio! Bei tempi! E pensate, con tutte quelle sudate in bicicletta, sotto l'acqua, magari la neve, mai saputo cosa fosse un raffreddore! |