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Articolo inserito da Alessandro Gaspari in data 26/10/2013
Il paese
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IL CANALE DI RAVALDINO

Nasce approssimativamente 8oo anni fa dalla chiusa di S.Lorenzo in Noceto ed attravesra tutta Forlì compiendo egregiamente il suo dovere di fornitore di energia per l’industria molitoria che ha nutrito generazioni di forlivesi. È anche un po’ merito suo se tanta fama hanno ottenuto piadina e cappelletti. 
Il nonno di mia moglie ha svolto fin quando non è andato in pensione l’incarico di chiusarolo regolando la quantità d’acqua da rilasciare nel tempo e in base alle stagioni.
Noi abitanti delle sue sponde abbiamo un rapporto particolare col canale, ma è meglio dire “avevamo” dal momento che ora è praticamente un relitto, un fosso quasi sempre in secca, pieno di erbacce quando va bene oppure di porcherie varie quando l’educazione civica degli affezionati allo scarico abusivo ispira la deposizione dei vari scarti.
Eppure da piccoli il canale esercitava un discreto fascino su tutti. Abitiamo in una zona delimitata ed isolata per l’appunto dal canale e dalla vecchia strada che conduceva a Vecchiazzano, una specie di sperone piano aggettante sulla golena del fiuma Rabbi. Naturalmente il fiume aveva un potere attrattivo nettamente superiore, il fascino dell’avventura, il mistero delle sue rive a boscaglia, il richiamo delle sue spiaggette a ghiaia o sabbiose, le scampagnate all’ombra di un pioppo seduti su una coperta a far merenda assieme alle formiche, il bagno in un’acqua che era ancor possibile bere senza stramazzare stecchiti, ma non era alla portata tutti i giorni per cui il canale faceva da surrogato.
Le sere d’estate ci si radunava sul ponticello- il traffico rispetto ai tempi attuali era ridicolo- a fare due chiacchiere,le donne si scambiavano novità e maldicenze, noi ragazzi impegnati in improbabili tentativi di pesca con attrezzature di fantasia, oppure semplicemente ad ascoltare scorrere l’acqua  o a dare la caccia ai maggiolini o, più ambiti, ai cervi volanti attirati dall’acqua. Nelle giornate estive non esisteva specie protetta o immune da attacchi: ho preso salamandre, raganelle, topi, lucertole, passeri e quant’altro per un atavico senso di dominio, di curiosità nei confronti della natura. Non si può credere alla forza di una fionda o di un arco se non si è provato il senso di trionfo per un centro perfetto ed ogni gatto dei dintorni ne sapeva qualcosa e girava prudentemente alla larga. Nel canale allora si poteva persino fare il bagno senza dover temere ferite da rottami o cocci di vetro; c’era solo il pericolo di essere trascinati dalla corrente e mia moglie ne sa qualcosa. È caduta in acqua da piccola e, dopo aver percorso un discreto tratto di canale coperto è stata ripescata dal vecchio fornaio messo in allarme dagli urli dei bambini, per fortuna senza conseguenze salvo una buona dose di paura. Anche d’inverno il canale aveva la sua forza attrattiva: rive innevate e crosta di ghiaccio in superfice. Pallate a non finire e bambocci di neve, mani e ginocchia rosse come fuoco e poi era uno spasso guardare, nelle invernate particolarmente fredde, i pompieri spaccare il ghiaccio sotto il ponte nel timore che la spinta potesse farlo crollare. Generalmente il lancio di un sasso bastava a rompere la lastra superficiale ma ricordo un anno in cui si poteva passeggiare sul ghiaccio viste le temperature particolarmente basse.
Una delle caratteristiche era la presenza dei lavatoi di cui ancor oggi esiste qualche esemplare in disuso. Il ricordo si appunta soprattutto sulle facce stralunate delle mamme e nonne di famiglia costrette a fare il bucato con quelle attrezzature primitive: d’estate ancora passava ma d’inverno era una faccenda tragica. Se racconti come andavano le cose ai ragazzi d’oggi non ti credono: e le lavatrici? Allora le lavatrici si chiamavano Gina, Carola, Maria, Adelina, ecc. ecc. e non consumavano corrente e non inquinavano e la centrifuga aveva quattro robuste mani che ai due capi del lenzuolo torcevano la tela per far uscire la maggior quantità possibile di acqua e i ruvidi lenzuoli di canapa, stesi sui fili del bucato, al freddo delle belle giornate invernali diventavano rigidi come fogli di lamiera ma una volta asciugati  avevano il profumo dell’aria aperta di campagna. Ancora oggi sto usando la tela  della nonna di mia nonna perché d’estate non riesco a dormire altro che sulla canapa. E purtroppo non è più possibile utilizzare i sacconi con i cartocci del granturco come materasso ma li rinpiango!
Poco prima della Porta di Ravaldino il canale si ingrotta e fa misteriosi giri sotto Forlì. Se ne scopre un pezzetto nei pressi del Cinema S.Luigi e poi torna sotto fino alla periferia per continuare a scorrere all’aperto fino alla sua fine nei pressi di Coccolia. Una volta mi son tolto la curiosità di vedere come va a finire ma sono rimasto deluso: fine ingloriosa in una specie di trabocchetto che lo ributta nel fiume Ronco.
Molto meglio il ricordo della gora dei vari mulini sulle sue sponde, il tremolio delle strutture al passaggio dell’acqua nelle ruote di potenza delle macine prima che i cavalli-vapore venissero forniti dall’ENEL. 
Mulino del Bastione, mulino del Fico, mulino Gardelli, mulino Faliceto, mulino della Grata, altri sconosciuti o distrutti, acqua per la farina, acqua per le bietole dell’Eridania, acqua per gli orti. Quanta gente hanno visto, quanta gente hanno sfamato: farine per le tagliatelle e per la polenta, crusca per i maiali e per i polli, carboidrati e proteine e verdure. È quasi un ciclo integrato, l’allegoria del buon mangiare, il simbolo dell’unione degli elementi caratteristici della cucina.
Ora il Canale non funziona più, è asciutto, quando passo non lo guardo neanche, fa troppa tristezza, pelle di biscia secca. Mi fermo solo le rare volte che l’acqua scorre frusciando sulla cannella, gorgogliando sotto il ponte. Mi fermo proprio, a guardare l’acqua che corre, a vedere se son capace di notare un qualsiasi pesciolino sotto al pelo, ad osservare un fiore appassito che gira pigro sulla superfice, a notare quanto tempo ci mette uno stelo ad emergere dopo essere stato travolto dalla corrente, a buttare un rametto in acqua e vederlo seguire il filo della corrente. Seguo i miei pensieri che seguono la corrente che segue il tempo degli anni. Troppi dietro, pochi davanti.

Alessandro Gaspari

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