Forlì. Guida alla città è un “viaggio”, arricchito da un ampio apparato fotografico, diviso in sei itinerari (Borgo Schiavonia ovest, Borgo Schiavonia est e zona San Biagio, Borgo San Pietro, Piazza Saffi, Borgo Cotogni e Borgo Ravaldino) percorsi come se chi legge stesse camminando per le vie e le piazze della città. Due ulteriori capitoli (La Forlì del Ventennio e Fuori Porta) che vanno a completare la fisionomia di Forlì e dei suoi dintorni.
La guida viene pubblicata a distanza di poco meno di cento anni dall’uscita di Forlì e dintorni di Ettore Casadei, ultima guida completa, tuttora ristampata, documento e punto di riferimento unico e fondamentale per chi vuole conoscere com’era la città nel 1928. Raccontando un secolo di storia e di storie trascorsi, Forlì. Guida alla città si pone come obiettivo quello di colmare un vuoto. Nel frattempo altre importanti guide hanno visto le stampe, prima tra tutte la splendida e ineguagliabile Guida raccontata di Forlì di Giuliano Missirini, ma nessuna è riuscita a prendere del tutto il posto di quella di Ettore Casadei. Forlì. Guida alla città, fotografando Forlì ai giorni nostri, si prefigge come ambizioso obiettivo quello di restare nella nostra storia per i prossimi cento anni.
Marco Viroli, poeta e attivo operatore culturale, è autore di saggi storici quali: Caterina Sforza. Leonessa di Romagna; Signore di Romagna. Le altre leonesse; I Bentivoglio. Signori di Bologna; La Rocca di Ravaldino in Forlì.
Gabriele Zelli negli ultimi trent’anni ha ricoperto importanti cariche istituzionali nel Comune di Forlì: assessore alla Cultura e allo Sport, all’Urbanistica e ai Lavori Pubblici, presidente del Consiglio Comunale. Da giugno 2012 è sindaco di Dovadola.
Fabio Casadei è il fotografo dei prodotti editoriali di Pigreco srl e collabora con il gruppo di fotografia amatoriale “Flickr Forlì”. Nato a Forlì nel 1977, appassionato di automobilismo, ha effettuato numerosi servizi fotografici durante gare di Formula Uno. Ha realizzato le immagini del libro La Rocca di Ravaldino in Forlì di Marco Viroli.
San Martino in Strada
da Forlì. Guida alla città
A circa 4 chilometri da Forlì, sulla strada per Predappio, sorge la frazione di San Martino in Strada con la sua antica pieve. Un tempo ben distinto dal tessuto urbano, oggi l’abitato di San Martino in Strada è praticamente collegato senza soluzione di continuità alla città.
Il piccolo insediamento vide in passato anche la presenza di un castello, poi distrutto, che resta nel toponimo di una delle sue strade: via dei Bastioni.
Il nome della frazione deriva da quello dell'antica chiesa, intitolata a San Martino, che sorge lungo la strada e di cui, per mancanza di documenti, non si conoscono le esatte origini. A causa della sua posizione, la Pieve di San martino in Strada assunse grande importanza nel passato. Le prime notizie storiche a riguardo risalgono al 14 maggio 962, quando venne donata, insieme al centro plebano, dal vescovo Uberto all'abate Giovanni dell'Abbazia di San Mercuriale.
Fin dal XII secolo fu una chiesa di buona importanza ed ebbe arcipreti appartenenti alle più importanti famiglie di Forlì, tra cui Ordelaffi, Numai e Orselli. Col crescere della popolazione la pieve, che aveva una giurisdizione molto estesa e inglobava parte della città, sin dal 1170 divenne parrocchia.
Il 14 settembre 1281, a San Martino in Strada si accamparono le truppe di Jean d'Eppes, meglio conosciuto come Giovanni d'Appia, e ne distrussero le case e il contado.
Sigismondo Marchesi racconta poi che il 5 aprile 1425, Giovedì Santo, Guido Manfredi, Signore di Faenza, mentre marciava contro il duca di Milano, il quale era allora Signore di Forlì, qui sostò presso il bastione che era in costruzione davanti alla chiusa del fiume. Cinque giorni dopo il Manfredi con i suoi uomini si spinsero fino alla chiesa e la distrussero.
La vecchia pieve, che nel corso del tempo è stata oggetto di notevoli ricostruzioni, aveva tre altari: quello di San Martino, quello della Beata Vergine del Rosario e quello del Sacro Cuore di Gesù. Oggi dell’antico luogo di culto resta solo una campana del 1406. Nel 1827 venne costruita la canonica e nel 1914 don Vincenzo Montuschi commissionò numerosi lavori di restauro, compreso il rifacimento della facciata.
Sul sagrato è oggi possibile ammirare un’opera dello scultore forlivese Glauco Fiorini.
Nel 1982 papa Giovanni Paolo II firmò la pergamena di fondazione della nuova Chiesa di San Martino di Tour, costruita poi su progetto degli ingegneri forlivesi Angelo Sampieri e Giovanni Ragazzini, che oggi si trova più all’interno dell’abitato, a breve distanza dalla pieve originaria.
Poco oltre il centro di San Martino in Strada, in direzione Predappio, ha inizio via Monda sulla cui sinistra, dopo circa un chilometro, ha inizio via Crocetta. Al numero 24 di questa via si trova Villa Mussolini, la casa in cui, durante il Ventennio, vivevano Benito Mussolini, Rachele e i figli quando non si trovavano a Roma. Qui, nel 1927, nacque Romano, ultimo figlio della coppia.
Oggi la casa, circondata da bandiere tricolori, è ben visibile ed è stata trasformata in Museo dei Ricordi ove sono conservati gli oggetti personali della famiglia. La costruzione a tre piani è circondata da un parco nel quale sono raccolte diverse sculture e la casa dei giochi, fatta costruire dal Duce per i suoi figli.
All’interno le stanze mantengono immutati gli arredi e l’aspetto di un tempo. Mobili, scaffali e cassapanche conservano migliaia di documenti ancora da studiare e catalogare. La villa custodisce anche parecchie interessanti curiosità: libri, riviste, giornali, abiti e divise, uno specchio che per alcuni rifletterebbe ancora oggi l’immagine del Duce e il violino che Mussolini suonava, attorniato da spartiti.
Tornando su via Monda, al numero 126 sono visibili i pochi resti di quello che un tempo doveva essere il Castello di Belfiore. È probabile che si trattasse di una rocca di una certa importanza, collocata in posizione strategica tra Forlì e Meldola.
Il cronista Leone Cobelli vi fa cenno quando scrive che Guido da Montefeltro vi avrebbe transitato nel 1282, lo stesso anno del “sanguinoso mucchio”.
Viene menzionato anche nelle cronache di Giovanni di Mastro Pedrino e di Sigismondo Marchesi che attestano che la fortezza, pur essendo poco distante da Forlì, agli inizi del XV secolo si trovava sotto la giurisdizione dei Malatesta che lo avevano sottratto ai Forlivesi nel 1405.
Nel 1417 Carlo Malatesta lo cedette a un certo Carlo da Montealbotto insieme ad altre rocche tra cui quelle di Ranchio e delle Caminate.
I cronisti lo ricordano infine riguardo a fatti accaduti nel 1424 e nel 1432, poi più nulla. È ragionevole perciò supporre che da quel momento l’avamposto militare abbia perso importanza e sia caduto in rovina.
Le “croci di termine”
Percorrendo la via Emilia dal Ronco in direzione sud, a un certo punto sulla destra è collocata una croce in ferro, posta proprio al centro dell’imbocco di via della Croce, ove corre il confine tra i Comuni di Forlì e Forlimpopoli. Una mappa dell’Istituto Geografico Militare (rilievo datato 1894) consente di individuare, dal lato di Forlimpopoli, anche il cosiddetto podere della Croce.
In ambito toponomastico questi segni vengono chiamati “croci di termine” e possono essere “in campo”, se si trovano all’aperto, o “coperte”, se custodite in cellette, cappelle, oratori.
Il loro compito era quello di indicare la fine di una proprietà, di una pertinenza, di una competenza.
Sul territorio comunale un’altra piccola croce a termine è posta su di un piloncino in cemento all’inizio di via Crocetta, in zona San Martino in Strada.
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