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Articolo inserito da Alberto Gorini in data 12/11/2010
Storia
tratto da http://www.comune.forli.fc.it /storiaeconomicaforli/Cdstoria/matteucci/pro_raval2.htm
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Notizie storiche sul canale ravaldino

IL CANALE DI RAVALDINO E I MULINI

 

Le origini del canale di Ravaldino sono incerte, si pensa sia stato fatto costruire intorno al 1050 da Scarpetta Ordelaffi, capitano del popolo, che ha progettato il taglio di uno dei due rami del fiume Montone (fiume Aquaviva detto poi Rabbi) nella chiusa di Calanco (oggi zona di S.Lorenzo).
Probabilmente nel 1200 esistevano già due mulini in funzione.
Nel 1202 il canale sarebbe poi stato completato nella sua parte finale fino alla confluenza nel Ronco in zona ravennate. Per il dominio sulle acque del canale ci fu, alla fine dell'Ottocento, una controversia tra la pubblica amministrazione e la "Unione dei Molini di Ravaldino e Schiavonia", (Forlì è stata la seconda città al mondo dopo Cesena ad avere un'unione di mulini) che ne reclamava la legittima proprietà. La parte dell'amministrazione pubblica fu sostenuta da Emidio Zoli che pubblicò l'opuscolo "Sull'origine e dominio del canale di Ravaldino"; mentre la parte dell'Unione fu sostenuta da Nicola Savorelli Prati che pubblicò "Sulle acque del canale di Ravaldino". Vinse la tesi l'avvocato Prati, così il canale fu legalmente dell' Unione che nel 1900 lo affidò, con un contratto trentennale, alla Società Elettrica per l'uso della proprietà. Con il contratto fu fatta una descrizione del canale. Il canale attraversava la città di Forlì entrando da Barriera A.Saffi, attuale Barriera Ravaldino, e uscendo sotto i fabbricati del Molino Grata. Il tratto che attraversava la città era in alcuni punti coperto e in altri scoperto ed attraversato da ponti e passerelle. Era in parte incassato e in parte arginato e costeggiava o la strada principale del Rabbi (Forlì-Predappio) o il fiume Rabbi e in alcune di queste ultime zone erano state costruite opere di difesa per la corrosione del fiume. "Con la progressiva costruzione di case, il tratto urbano venne a mano a mano coperto, ma alla fine dell'Ottocento ancora diversi tratti scorrevano alla luce del sole" (Elio Caruso, Forlì, città e cittadini tra Ottocento e Novecento,  I  volume). Era scoperto lungo la via dei Camaldolesi (oggi via Caterina Sforza) dove alimentava un pubblico lavatoio all'angolo di via Chiàvare (oggi Andrelini) dove attualmente sorge il Day Hospital, e il mulino Faliceto più avanti. Dopo aver corso un breve tratto sotterraneo, ricompariva in fondo alla via Merenda, dove sfiorava le mura del palazzo Gnocchi (oggi è stato adibito a scuola, Istituto Tecnico Femminile Statale Giorgina Saffi); di nuovo coperto percorreva il tratto sotto la via Missirini, il Rialto Piazza, il loggiato del Municipio (in questa zona è iniziata la storia della copertura del canale, nel l459 fu Pio terzo che fece coprire il tratto corrispondente al Municipio dove forse, esisteva un.passaggio sull'acqua detto Ponte Buio), corso Mazzini, ritornando scoperto lungo la via del Sole, dove era chiamato "de' Marinàz" e infine lambiva la torre Numai. Scorreva poi sotto la piazza delle Erbe e ricompariva nel cortile del palazzo Paolucci, Rialto, Piazza e oltre. "Sotto passava la via Monsignani (oggi via dei Mille) da dove continuava a scorrere scoperto nel cortile dell'oratorio di S.Luigi  e tra le case di via S.Antonio Nuovo (oggi via Silvio Pellico), qui alimentava l'antichissimo mulino Ripa, il macello comunale e un secondo lavatoio pubblico; continuava scoperto sino al mulino Grata, sotto il cui voltone usciva di città, dopo aver alimentato l'attiguo mulino Pestrino; e infine toccava il mulino Pelacano e 1'Eridania. Dopo una decina di chilometri Si immette nel fiume Ronco, presso Coccolia, avendo percorso complessivamente ventidue chilometri" (Elio Caruso, op. citata).

In maggio-giugno di ogni anno il canale veniva svuotato per la pulizia; questo avvenimento era atteso dai cittadini, soprattutto dai ragazzini che.cercavano sempre delle novità: vi si calavano dentro e trovavano tanti aspetti per svagarsi e giocare; speravano anche di trovare qualche anguilla o dei pesci. Nei mesi estivi poi, i ragazzini, e non solo questi, in mancanza di un fiume, facevano il bagno nel canale e scatenavano le ire moraliste di persone benpensanti, che diventavano argomento dei giornali dell'epoca: "Si sta in questi giorni chiudendo con un volto, a cura del Municipio, quel tratto di canale che era scoperto dietro il Palazzo Gnocchi, (che è in via S.Filippo) e per la sua posizione e bassissimo riparo poteva dirsi pericoloso, specialmente di notte, non calcolando anche l'indecente spettacolo che nell'estate vi danno di se uomini e donne confuse a lavarsi". (F.Guarini, 9 giugno, 1884). Dopo molte lamentele e proteste per questo motivo, venne coperto il tratto di canale che va da via Valverde sino a dietro il palazzo Gnocchi, nel 1884. Ci furono richieste per chiudere anche gli altri tratti di canale urbano che erano ancora rimasti scoperti perché rappresentavano un pericolo per la cittadinanza. Il canale era diventato una grande cloaca maleodorante, infatti tutti i rifiuti delle case, delle persone, delle fogne, venivano gettati nel canale dove si mescolavano con I'acqua, provocando odori insopportabili e pericolo continuo di epidemie e malattie: "Lungo il canale di Ravaldino che attraversa Forlì, i cessi non hanno serbatoi e le feci e le urine vengono quindi a mescolarsi a quell'acqua. Tutti i rifiuti delle case, tutti i residui, i più immondi delle varie industrie sono gettati nel canale. Tutte le fogne della città portano le loro sozzure nel canale, lungo il quale non una pianta mette le sue radici, non un pesciolino vivo, tante e tali sono le lordure che esso trasporta". (A.Pasqualini)

 In più, vicino alla porta Saffi (barriera Ravaldino), prima che il canale si internasse tra l'abitato, riceveva lo scarico dall'acqua sporca di un lavatoio pubblico costruito nel 1867. Nonostante questo, le donne andavano nel canale per lavare i panni. "Nel tratto urbano del canale c'erano infatti sette scalette in muratura e sedici ponti, registrati nell'inventario delle proprietà dell' "Unione dei Molini di Ravaldino e Schiavonia". Nel 1929 venne chiuso il tratto di via del Sole, l'anno successivo, alla scadenza del contratto di affitto, la proprietà del canale passò all'Eridania, che ne acquisì tutti i diritti". (Elio Caruso, op. citata)
Negli anni Cinquanta fu coperto il tratto accanto al mulino Faliceto, questo si trovava all'interno delle mura cittadine e dopo essere appartenuto al Sacro Numero dei Novanta Pacifici era passato alla famiglia Reggiani e nel 1641 all'Unione. Più recentemente, il mulino dopo essere diventato centrale elettrica, stamperia ad acqua ed infine laboratorio di ceramica, è entrato in disuso ed è diventato di proprietà del Comune di Forlì. Delle vecchie strutture rimane solo la piccola chiusa utilizzata per l'afflusso dell'acqua su un tratto scoperto di canale. Altri mulini erano: il Mulino Bastione, nell'ultimo periodo trasformato in una pileria di riso, inattivo dal 1915 e quindi completamente ristrutturato e trasformato in villa Ravaioli; il mulino Bassa a San Martino che esisteva già nel 1912 quando fu donato dal Vescovo al Municipio. Alla fine dello scorso secolo, il mulino, che macinava cereali, fu trasformato in pileria di riso. Nel 1896 cadde in disuso, ma venne riattivato nel 1914 come mulino per cereali; gli fu applicato un generatore di corrente che forniva elettricità al borgo di S.Martino in Strada. Il mulino del Fico, situato nel punto d'incontro tra viale Risorgimento e via dell'Appennino, esisteva già nel XIV secolo, chiamato "mulino dei Bancioli", ed apparteneva agli Ordelaffi, passò in seguito al Municipio e nel 1407 alla famiglia Pantiroli.

 "Come gli altri mulini anche quello del Fico venne progressivamente rimodernato; alla fine dell'Ottocento sostituii le antiche macine di pietra con i più razionali cilindri, da allora la struttura meccanica e muraria è rimasta pressoché inalterata". (Elio Caruso, op. citata)

I macchinari di questo mulino sono stati però recentemente venduti (nel 1990) ed inviati in Jugoslavia (Bosnia). Rimane ancora integra la struttura dell'edificio che è facilmente visitabile ed è uno splendido esempio e testimonianza del mondo e della cultura passata, al quale vanno ricordi di infanzia di molti vecchi forlivesi che temono, assieme a tanta altra parte dei cittadini, la sua demolizione per far posto a costruzioni moderne.

Il mulino Primo, posto sul viale dell'Appennino, poco dopo Ca' Ossi era già in funzione nel XV secolo, quando era chiamato "Rustigliano", utilizzava un salto di 3,50 metri; ha cessato la sua attività nel 1984.

Attraversando via Pedriali, piazza Cavour, il cortile della Prefettura, la via dei Mille, si arriva alla via Ripa, nome acquisito da quello del mulino posto all'interno della cinta urbana: "Questo antichissimo mulino apparteneva nel 1212 al Municipio, che nel 1285 lo cedette ai Canonici di Santa Croce. Nel 1432 fu assegnato ai Vescovo al quale rimase fino al 1641. Per quasi sette secoli, fino al 1893, macinò cereali; quell'anno venne trasformato in centrale elettrica e nel 1901, quando questa venne trasferita ai Romiti, fu convertita in conceria di pelli". (Elio Caruso, op. citata)

"Inserito in una ristrutturazione che ha portato alla costruzione di un complesso di edifici per abitazione, delle antiche strutture rimane tuttavia invariata la facciata esterna del mulino, inserito nel complesso dell'Istituto Professionale Salesiani". ("Comune Aperto", 1-2 gennaio 1955, pag. 15)

Proseguendo per via della Grata e attraversando Viale Italia, le vecchie strutture del mulino Grata, cambiate quasi completamente, sono collegate all'interno della Samea. Negli anni Cinquanta questo edificio veniva utilizzato per la macinazione della calce: "La presa d'acqua che serviva per due mesi, a partire da agosto, per lo zuccherificio Eridania, fu creata regolarmente il 26 dicembre 1899. Oggi è ormai inattiva". ("Comune aperto", op. citata).

"Ciò che rimane è l'impronta formidabile impressa sullo sviluppo della città, del tracciato del canale sul piano urbanistico ed anche l'influenza sul genere di vita passato dei suoi cittadini attraverso lo sfruttamento diffuso di una delle risorse più antiche utilizzate dall'uomo: l'energia fornita dall'acqua". ("Comune Aperto", op. citata)

BIBLIOGRAFIA:

- Elio Caruso, Forlì, città e cittadini tra Ottocento e Novecento", I vol., edizioni Girasole, Forlì 1990.
- Gianna Todoli, in "Comune Aperto", 1-2 gennaio 1989, pag. 15
- F. Guarini, Diario forlivese, 9 giugno 1884
- A. Pasqualini.

Ricerca elaborata da Milanesi Alessia

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