Chissà se don Maurizio Monti avrebbe concesso ad un artista straniero di allestire al centro della Pieve di San Martino un grande cilindro bianco dal quale si sprigiona una colonna di fumo bianco che, forzata da quattro altrettanto imponenti colonne di ventilatori poste ai vertici di un ideale quadrato che inscrive il cilindro, vorticosamente si innalza sino al centro della cupola, dove l’attende un enorme aspiratore industriale, il tutto avvolto nel sottofondo del rumore dei ventilatori e aspiratore. Eppure quest’allestimento, descritto in tale informale maniera, è la magnifica “Ascension” di Anish Kapoor che si potrà ammirare sino al 27 novembre prossimo all’interno della Basilica di San Giorgio Maggiore a Venezia. Si, si, avete letto bene, basilica, chiesa attualmente consacrata.
I benpensanti, lo stesso don Monti potrebbe obiettare “ma cosa lega l’installazione di Kapoor con una chiesa cattolica ?”. Io l’ho visitata e devo dire che mi ha trasmesso un altissimo senso di spiritualità e di fede. Lo stesso Kappor ci spiega “…in Ascension…ciò che m’interessa è l’idea dell’immaterialità che diviene un oggetto…il fumo diventa una colonna. In quest’opera è anche presente l’idea di Mosé che seguì una colonna di fumo, una colonna di luce, nel deserto…”. Questa è l’Arte Contemporanea, quella che è accolta all’interno di una palladiana Basilica dei primi anni del Seicento.
Ho raccontato questo dopo aver letto della rimozione, da parte del nuovo parroco, dell’opera “Apparizione”, del pittore Mauro Maltoni, che dal 2006 si trovava all’interno della Pieve di San Martino, e della minaccia di rimuovere pure il Cristo di Roberto Casadio, collocato nella chiesa nello stesso anno. Riguardo l’opera di Maltoni il parroco si giustifica affermando che “interpreta in maniera inconsueta il tema esposto: le apparizioni nella tradizione biblica hanno una dimensione di luce e gloria. Inoltre il quadro non ha finalità pastorali, non è orientato alla devozione, alla preghiera e alla contemplazione…” Questo giudizio di don Monti su un’opera del secondo millennio ha azzerato in un attimo i secoli trascorsi dal quando, nel 1582 il cardinale bolognese Gabriele Paleotti pubblicò il celebre Discorso intorno alle immagini sacre e profane, che dettò i principi cui dovevano attenersi gli artisti della Controriforma. A conclusione del Concilio di Trento (1563) la Chiesa condusse una battaglia implacabile contro ogni forma di pensiero che mettesse in discussione la dottrina cattolica e i suoi fondamenti teorici. Le gerarchie ecclesiastiche impostarono una capillare azione di censura, tesa a bloccare ogni idea nuova in campo scientifico e filosofico, non disdegnando strumenti come il Tribunale dell'Inquisizione (Tribunale del Santo Uffizio) e l'indice dei libri proibiti, un elenco costantemente aggiornato di libri considerati controproducenti e dannosi per il buon cristiano. Questa battaglia fu combattuta pure verso il teatro e le arti figurative, per la loro capacità di influire su larghi strati della popolazione: il Concilio di Trento vietò l'esposizione d’immagini contrarie al dogma, ed emanò precise direttive per gli artisti, cui fu imposto il compito di istruire il popolo all'ortodossia e alimentarne la devozione. Gli artisti furono orientati verso la realizzazione di ”composizioni semplici e d’immediata comprensione, con pochi personaggi che dovevano essere colti in atteggiamenti chiari, per indurre alla preghiera il fedele e coinvolgerlo emotivamente, ma senza cadere in eccessi di drammaticità e teatralità”. Pensavo che ormai, tali assurdità non si potessero più riproporre, sino a quando ho letto della inopportuna iniziativa dello zelante parroco, nuovo Paleotti del secondo millennio. Egli mi rammentato i “braghettoni” che furono imposti al mirabile Giudizio Universale di Michelangelo, le difficoltà e le incomprensioni che incontrò Caravaggio per la sua pittura ricca di elementi naturalistici, ma non priva di un alta spiritualità. La presa di posizione di don Monti mi ha ricordato la mancanza di lungimiranza della quale fu permeato il rifiuto della Confraternita dei Francesi nei riguardi prima versione del San Matteo e l’Angelo realizzata da Caravaggio, il pregiudizio che offuscò il giudizio dei Carmelitani Scalzi su un’altra ammirevole opera di Caravaggio, la Morte della Vergine, una Madonna gonfia, con la faccia livida, i piedi nudi fino alla caviglia, sporgenti fuori da un tavolaccio. Ma il pregiudizio e l’incomprensione delle rappresentanze religiose di allora furono superati e sconfitti dall’intelligenza di altri; la prima versione del San Matteo e l’Angelo fu acquistata dal più illuminato ed attento Vincenzo Giustiniani, la Morte della Vergine dal duca di Mantova, nel 1607 per 300 scudi, consigliato dal lungimirante parere del suo pittore di corte, Pieter Paul Rubens, che la ritenne una delle opere più riuscite del pittore lombardo. Ecco, tutto questo dovrebbe far riflettere don Maurizio Monti e consolare il “povero” Maltoni, al quale spero non si debba unire l’amico carissimo Roberto Casadio, entrambi sono in buona compagnia ed hanno la mia più affettuosa solidarietà. Ritengo che oggi, come ieri, la valutazione, l’interpretazione di opere d’arte di carattere religioso debba essere più attenta, meno superficiale, più libera, non condizionata da iconografie oramai desuete, superate. Oggi l’immagine sacra non si rivolge più a uomini semplici, analfabeti, incapaci di elaborare un loro pensiero, di indagare il loro animo alla ricerca di un percorso di Fede da raggiungere, non solo attraverso dogmi, ma attraverso quell’umanità, quella costante ricerca, con dubbi, incertezze, sofferenza che l’uomo moderno sa esprimere e che artisti sensibili quali Casadio e Maltoni sanno interpretare nelle loro opere.
Alvaro Lucchi |